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La leggenda della Sibilla Tiburtina

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Le Sibille, vissute nell’antichità in vari tempi e luoghi,  erano considerate dotate della facoltà profetica. La Sibilla Albunea o Tiburtina era venerata come una dea a Tivoli, appunto nel Tempio della Sibilla ed era prediletta dalla dea Venere, il cui simbolo era un libro. Si narra infatti che sulle rive del fiume Aniene fu trovata la statua raffigurante la Sibilla Tiburtina con un libro. I libri sibillini erano delle raccolte oracolari sui destini di Roma in lingua greca, alla cui interpretazione presiedeva un collegio di sacerdoti detti “Interpretes sibyllini”.

Secondo la leggenda, Albunea offrì in vendita a uno dei primi re di Roma, Tarquinio il Superbo, 9 di questi libri provenienti dalla Sibilla Cumana. Poichè questi si rifiutò di acquistarli, la misteriosa vecchia ne distrusse 3 e offrì gli altri allo stesso prezzo. Dopo un nuovo rifiuto, ne distrusse altri 3 e offrì gli ultimi, che finalmente, per consiglio di tutti i sacerdoti romani, furono acquistati e gelosamente conservati a Roma nel tempio di Giove Capitolino.

Nell’anno 85 a.c. la raccolta andò bruciata a seguito di un incendio sul campidoglio e venne sostituita da una nuova raccolta di libri sibillini, quelli della Sibilla Albunea Tiburtina, che l’Imperatore Augusto fece depositare in una teca aurea sul tempio di Apollo sul Palatino, dove rimase in uso fino a 363 d.C, data dell’ultima consultazione conosciuta.

La Sibilla Tiburtina è ricordata come una delle sibille più famose. Secondo la leggenda, infatti, profetizzò la nascita di Gesù Cristo al mondo classico: “Nascetur Christus in Bethlem, annuntiabitur in Nazareth, regnante tauro pacifico cundatore quietis, oh felix illa mulier cuius libera ispum lactabunt”.

Lo storico romano Svetonio narra che l’imperatore Ottaviano Augusto, acclamato dal popolo con l’appellativo divus, si rivolse ad Albunea, la Sibilla, chiedendole se avesse potuto farsi adorare come un dio. La Sibilla impose a Ottaviano 3 giorni di digiuno, in seguito ai quali profetizzò la nascita di Cristo, l’unico Dio al quale anche l’imperatore avrebbe dovuto offrire un sacrificio. Augusto donò un altare che fu collocato nella chiesa Romana posta sul colle capitolino, che prese il nome di Ara Coeli (altare del cielo).

Nei secoli successivi il destino del tempio si  collega alla presenza ecclesiatica, nella forma delle diaconie, che  rappresentano la prima e vera istituzione assistenziale dell’antichità. La Chiesa locale sceglieva delle persone (diaconi) preposti all’assistenza materiale dei bisognosi da effettuarsi in un locale rionale (diaconia) dove la carità e l’assistenza potessero essere praticate.

Nacquero anche gli ospizi o xenodochi (ospizi per pellegrini), anticipazione degli ospedali medioevali; qui si curavano i viandanti debilitati dalle fatiche del viaggio ed ammalati.

L’importanza di assistere i pellegrini era tale che lo stesso Costantino nel 325 d. C., nel concilio di Nicea, stabilì che ogni città ne avesse almeno uno gestito da un monaco ed ubicato in un luogo appartato.

Tivoli, essendo una città di transito, aveva un forte esigenza di assistenza per i pellegrini ed i malati abbandonati e le prime Diaconie Tiburtine di cui si ha notizia furono quelle di S. Maria della Rotonda (Tempio di Vesta) e di S. Giorgio (Tempio della Sibilla).

9 febbraio 2014 |

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