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La storia del Travertino Romano

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Ai tempi dei Romani le proprietà del travertino erano apprezzate a tal punto da far sì che fosse la pietra principale dell’antica Roma. Infatti il geografo greco Stradone, che visse a lungo a Roma, ricordava nel suo Libro V che il trasporto del “Lapis Tiburtinus” (il travertino) a Roma era molto facile ‘per terra e per mare’. A partire dal periodo tra il secondo e il terzo secolo avanti Cristo, il travertino divenne il materiale privilegiato dell’antica architettura romana.

I romani estrassero milioni e milioni di metri cubi di questa pietra dalle cave dell’area tiburtina.
La facciata della cava del Barco era ampia più di due chilometri ed una strada larga il doppio della via Appia la collegava alla vicinissima via Tiburtina. Certamente la qualità di questa pietra, la sua vicinanza a Roma, la sua facilità di estrazione e lavorazione e le sue caratteristiche di resistenza e durata resero molto conveniente l’utilizzo del travertino.

Sembra che all’inizio le possibilità di utilizzo del travertino fossero intense, ma spesso come alternativa al tufo (meno resistente e meno lavorabile con precisione) in fondamenta, costruzioni, muri di sostegno spesso paragonabili, facendo un raffronto, a lavori in cemento, ma anche nelle strutture portanti, nei punti delle costruzioni più delicati e soggetti agli agenti atmosferici, e come base per finiture successive.
Ad esempio, nel Tempio della Fortuna Virile (verso la fine del secondo secolo a.C.), le architravi erano costituite da archi piani in tufo, ma su componenti di travertino in corrispondenza delle colonne.

Comunque la rifinita eleganza ionica dei particolari è ottenuta, come nell’architettura greca, con degli stucchi finemente modellati che ricoprivano sia il tufo, sia il travertino. In altri casi sembrò conveniente utilizzare il travertino in parti modellate, nei cornicioni come nelle colonne, lasciando lo stucco come mezzo per livellare le superfici, nascondendo la struttura e ammorbidendo e caratterizzando i contorni.
Il travertino è stato comunque sempre apprezzato, al di là di tutto, per la qualità del suo utilizzo pratico come supporto, resistente e facilmente modellabile, pronto per una successiva finitura con lo stucco.
Inoltre la possibilità di modellarlo e scolpirlo con l’ottenimento di vigorosi effetti plastici, le sue cromature legate ad un bianco caldo, tendente talvolta al giallo, al rosa e al viola, e la sua varietà di superficie, vibrante alla luce, contribuirono a renderlo sempre più apprezzato.

D’altra parte, la sua natura calcarea garantiva nel tempo una degradabilità considerevolmente ridotta agli agenti atmosferici e anche l’acquisizione di nuove tonalità. In quell’affascinante processo storico generale dal quale emerse l’espressione architettonica che ebbe origine a Roma, anche il travertino ebbe una funzione attivamente propulsiva in questa inedita visione formale.

Ogni architettura, infatti, è anche l’espressione dell’attività dell’uomo che vive in un determinato ambiente, si alimenta sui suggerimenti della natura del materiale che utilizza ed ogni architetto sceglie i materiali che sono più appropriati. In ogni caso, dal primo secolo a.C., la compattezza volumetrica, l’esaltata energia teutonica, e la precisione contrastata e sintetica dei dettagli che cominciano a caratterizzare l’espressione di Roma, sembrano essere istintivamente associate alle qualità del travertino. In seguito l’utilizzo del travertino si trasformo da puramente utilitaristico ad espressivo, pieno di contenuti e significati specifici, tipicamente Romani.

Probabilmente non è un caso se il travertino compare nelle grandi ‘opere pubbliche’, con destinazione civile e utilitaristico e al servizio della comunità; quell’architettura che ha espresso il potere e l’efficienza delle istituzioni, che evocava il senso civico degli antichi Romani, che sposava le necessità della vita della repubblica; le porte della città, gli acquedotti, i ponti, gli edifici destinati agli spettacoli…

Quegli edifici che, anche con le loro forme severe e strutture arcuate, pur provenendo dalla tradizione ellenica e dal suo mondo formale, espressero il carattere e la maniera di quel nuovo, originale, modo di vedere Romano. Ma questa volta, nel periodo Augusteo, il travertino ha assunto una propria dignità come materiale ‘nobile’ privilegiato.

Nel Teatro Marcello, mentre le parti meno visibili erano ancora in tufo o in mattone usato, la facciata curva col passaggio a fu costruita in massicci blocchi di travertino. Da questo materiale proviene la magnifica forza teutonica, la stretta continuità, il robusto dinamismo, la dura ma vibrante animazione del chiaro-scuro che caratterizza la parte di questa facciata.

Il travertino suggerisce inoltre nuovi accenti nella definizione delle arcate e nella precisione dei dettagli, sensibile alla diversa inclinazione della luce sulle superfici. Ad esempio, nel periodo Augusteo, la porta della città sulla Collina Esquilina – impropriamente chiamata “L’Arco di Galliano” – nel taglio evidente della bugna in pietra delle arcate e delle solite paraste, accentuavano la grezza teutonicità della struttura come disegnata nell’unicità del materiale.

Comunque, al di sopra di tutto fu circa a metà del primo secolo, non molto dopo il periodo Augusteo (ancora influenzato, specialmente nell’uso del marmo nei templi, dalle rifiniture ornamentali del mondo ellenico) che il travertino ebbe il suo maggior momento di gloria, attraverso nuove forme di espressione.

Tra i periodi Vespasiano e Domiziano, nell’Anfiteatro Flavio, nel Colosseo, le possibilità espressive nell’uso del travertino sono dominate da un maturo controllo formale. Da quel momento in poi si può identificare nel Colosseo (inaugurato ancora incompleto da Tito nel Giugno dell’80 d.c.) la più tipica espressione dell’architettura romana e nel travertino il più tipico materiale della città.

Soltanto in pochi altri edifici nella storia dell’architettura, e raramente in modo così naturale, un materiale – le sue caratteristiche, la sua potenzialità e il suo valore – si è identificato con la sua forma; e raramente questo materiale e la sua forma hanno espresso con grande chiarezza il carattere dell’Impero Romano forse nel suo momento di massimo equilibrio, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti.

Per noi ormai l’immagine del Colosseo è così familiare che ci rimane difficile considerarne tutte le qualità.
Dalla manifattura romana si possono preferire costruzioni che sono più innovative e vivaci, dai Palazzi Palatini a Villa Adriana all’architettura termale. Si può anche riconoscere che tutti i temi che caratterizzano il Colosseo sono ormai diventati quasi convenzionali ed “accademici” .

Non si può negare comunque una notevole abilità nell’esaltazione dei grandi spazi per mezzo del ripetuto, insistente ma esteso chiaroscuro della sequenza delle arcate; il contrasto con la parte alta, i muri più alti e solidi, fino alle bugne molto luminose; un’integrità che enfatizza, articola e rende vibrante nel calore delle tonalità, l’unicità del travertino. E’ la gloria, il trionfo di questa pietra romana.

Dopo un lungo periodo di tempo, durante il quale le cave furono chiuse, a partire dalla metà del XV secolo, le qualità dell’antica pietra tiburtina cominciarono ad essere di nuovo apprezzate. L’uso del travertino iniziò a prendere nuove strade, probabilmente ideologiche e politiche connesse al sogno di rivivere, nei progetti papali e nei nuovi monumenti di Roma, la gloria dell’antico Impero.

Anche nel 1450 ca. quando Alberti scrisse il secondo libro “De re aedificatoria” , illustrando i materiali da costruzione egli non encomiò esattamente le qualità del travertino, che nominò solo accidentalmente (Cap. 9) ma che doveva certamente aver osservato nei monumenti romani. Anche Filarete che visse a Roma per lungo periodo riportò la notizia, senza molto entusiasmo, che a Roma esisteva una pietra chiamata travertino che completamente cosparsa da pori che viene estratta ancora in gran quantità, poiché egli deve aver osservato le antiche costruzioni della città.

Nonostante tutto, ancora una volta, il travertino caratterizzò l’architettura e dominò per la prima volta lo scenario civico della Roma del Quattrocento. Appena eletto Papa, nel 1464, Paolo il Barbo ordinò la costruzione di uno straordinario “viridarium”, un “hortus conclusus” circondato da portici adesso ristrutturati e modificati (corrisponde a Palazzetto Venezia). Un solo materiale, il travertino, costituisce il piano terra arcuato su pilastri squadrati con angoli arrotondati, fino al piano superiore con colone ioniche sovrastate d una trabeazione ispirate, alla maniera di Alberti, a quelle del Colosseo.

L’insistente e diretto riferimento all’antico – per la prima volta così esplicito nell’architettura del Quattrocento, non soltanto romana, e così evidente specialmente nei dettagli, plasticamente e vigorosamente intagliati – è naturalmente valorizzata dall’uso della pietra romana. Questi trionfi, che vollero riproporre direttamente le antiche parti del Colosseo, lo tradussero in una versione umanistica solenne ed austera e ancora una volta disegnarono la forza e la misura espressiva del materiale soprattutto nel piano più basso.

Qualcosa di simile si verifica nel nuovo Palazzo di Paolo II con le sue arcate doppie realizzate completamente in travertino. Anche la vecchia Chiesa di San Marco fu trasformata, su desiderio di Alberti, nella forma di una antica Basilica includendo parzialmente le colonne primitive costituite da robusti pilastri di travertino, che sorreggevano con le corrispondenti paraste sul muro perimetrale, la facciata della navata in stile romano. Solamente un materiale, il travertino, unisce le parti più prestigiose dello straordinario complesso.

Da questo momento il travertino stava diventando il materiale preferito per molti edifici prestigiosi.
Già Sisto IV, con i suoi architetti, sembra che avesse identificato nel travertino la pietra ideale per emulare a Roma le glorie architettoniche dell’antichità. Infatti, il pontificato di Sisto IV, costituì il periodo dopo tanti secoli in cui Roma iniziò a diventare “la città del travertino”. Come ai tempi dei Romani il materiale, almeno in parte, condizionò il carattere della sua architettura e suggerì, insieme al mattone, il colore prevalente della città. Anche l’interno e la parte frontale di Santa Maria del Popolo, la più importante Chiesa costruita sotto questo pontificato, deve la sua specifica originalità al travertino, che “illumina con una luce calda e dorata, questa prima Chiesa romana del Rinascimento”.

Le nuove ideologie culturali, le politiche umanistiche e una nuova visione artistica, orientata definitivamente verso effetti plastici e volumetrici, resero il travertino lo strumento delle nuove espressioni architettoniche.
Questo divenne chiaro nel lavoro del Bramante. Già in alcuni dei suoi primi lavori romani egli associò l’uso di questa pietra a molti riferimenti diretti all’antichità.

Il travertino sembrava essere considerato il materiale più ambito a Roma per soddisfare costruttori e architetti. Ogni edificio importante – religioso o civile, pubblico o privato – doveva esibire in proporzione minore o maggiore, specialmente nelle facciate e nei cortili, elementi costruiti con questo materiale. Esso divenne il simbolo della magnificenza economica e del prestigio culturale. Anche i palazzi e le case più modeste dovevano essere decorati almeno con una porta, qualche finestra o altri elementi realizzati in travertino.

Tutti gli architetti della Roma barocca e del Rinascimento hanno imparato ad adattare il travertino alle caratteristiche dei loro specifici modi di espressione adeguandosi contemporaneamente alla richiesta del materiale.

Un testimone di questo rinnovato fiorire dell’architettura romana in travertino, Giorgio Vasari, descrisse con sincero entusiasmo il suo più caldo encomio per questo materiale degno anche di essere usato dal divino Michelangelo: ”…un altro tipo di pietra, chiamato travertino, che è molto utilizzato per la realizzazione di edifici e per le incisioni di vario tipo, che può essere estratto in diversi posti in Italia, ma le pietre migliori e più dure sono estratte nei pressi del fiume Aniene a Tivoli” .

Gli antichi realizzarono con questo tipo di pietra le strutture e gli edifici più belli… è eccellente per i muri, essendo squadrato e senza bordo. Michelangelo Buonarroti, più di ogni altro Maestro, ha dato dignità a questa pietra nell’ornamento del cortile di Casa Farnese avendo realizzato da questa pietra, con grande maestria, finestre, maschere, corbelli e molte altre curiosità simili, tutte lavorate in travertino. Non si può vedere niente di simile. E se queste cose sono rare, l’ampia cornice dello stesso Palazzo è meravigliosa. Sempre dalla stessa pietra Michelangelo realizzò, all’esterno della struttura di San Pietro, dei larghi sacrari e all’interno, la cornice che circonda l’abside così ben realizzata che non se ne può vedere la congiunzione e quello che ognuno può riconoscere facilmente è quanto si può usare questo tipo di pietra.

Ma quello che supera ogni meraviglia è che, dopo aver realizzato da questa pietra la facciata di una delle tre absidi della stessa San Pietro, i pezzi sono congiunti insieme in tale modo che, guardando dal basso verso l’alto, sembra che il tutto sia stato realizzato da un solo pezzo. Nel frattempo il consumo del travertino era diventato enorme e non ce n’era abbastanza per soddisfare la grande richiesta. Il cortilato della nuova Basilica di San Pietro, completamente realizzata in travertino all’esterno e parzialmente all’interno, richiese quantità enormi di materiale.

Già dai tempi di Giulio II fu necessario ripristinare le antiche cave romane dopo secoli di inattività, soprattutto le cave di Tivoli “Caprine” e “Le Fosse” dalle quali veniva estratta la pietra migliore. Neanche gli innovatori del Barocco si poterono sottrarre all’obbligo di lavorare con questo materiale. La loro origine, l’educazione e l’orientamento delle loro ricerche non ebbero importanza. Al contrario, Portoghesi scrisse: ” Il travertino romano è una condizione alla quale il gusto barocco si adatta facilmente per aver compreso in pieno il valore della forma che deriva da un processo, che rivela una vita propria, espresso dalle riconoscibili stratificazioni e dalle variazioni di porosità che lo rendono una delle maggiori risorse… Questa pietra grezza con orli vibranti disegnata con tratti irregolari risultò…il materiale preferito”.

Bernini scoprì nel travertino il materiale ideale anche per le sue inedite invenzioni naturalistiche, nelle quali la pietra artificiale rappresentava se stessa diventando una scultura: nel Palazzo di Montecitorio, in una fase teatrale di natura e architettura, e specialmente nelle Fontane come a Piazza Navona. Il matrimonio tra il travertino e l’acqua che aveva già dato grandi risultati alla fine del periodo dei grandi spettacoli d’acqua del tardo Cinquecento, sarebbe stato celebrato, nel secolo successivo (1735) in tutta la sua magnificenza e nella sua spettacolare pienezza barocca, nello scenario urbano della Fontana di Trevi.

Infatti, gli architetti che lavorarono a Roma nel XVIII secolo non dimenticarono l’uso del travertino che aveva rifornito con continuità il grande teatro del Barocco: come nella nuova facciata di Santa Maria Maggiore o gli spazi urbani realizzati con destrezza del Porto di Ripetta o, all’apice delle possibilità espressive di modellazione dello spazio urbano, nella Scalinata fra Piazza di Spagna e Trinità dei Monti. Contemporaneamente, il travertino è utilizzato per creare un’atmosfera romana e per ammorbidire con le calde dimensioni della sua superficie la classica rigidità delle facciate di San Giovanni dei Fiorentini e della Cattedrale di San Giovanni in Laterano.

Anche Piranesi, non nelle costruzioni ma nelle sue spettacolari incisioni, con una nuova sensibilità e acutezza critica elevò il valore visuale di questo materiale romano antico e moderno all’elemento essenziale nell’espressione dei monumenti della città.

18 novembre 2013 |

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