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L’inondazione dell’Aniene nel 1826

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L’Aniene ha mantenuto inalterato, nel tempo, il percorso che fiancheggia i fabbricati di Tivoli dal lato di Via Maggiore e Via dei Sosii, proseguiva poi lungo l’attuale ramo derivatorio di Ponte Gregoriano, finché non fu realizzata la deviazione nel traforo del Monte Catillo nel 1835.

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La piena del 16 novembre del 1826, travolse circa venti abitazioni di Via Maggiore, tra cui la chiesetta di S. Lucia allora situata nell’attuale Via dei Sosii, metà del palazzo Boschi, orti, vigne e un tratto della strada maestra che da Via Maggiore conduceva a Porta Cornuta.

Fortuna volle che la piena si verificasse in pieno giorno e non si ebbero vittime. In quel periodo il regolare flusso delle acque veniva disciplinato da una diga che dava vita all’antica cascata: dopo il salto le acque sprofondavano nei baratri della Villa di Vopisco, Come era già avvenuto nella piena del 1531, la diga cedette e l’Aniene si abbasso di molti metri, tanto da impedire l’alimentazione di acqua a 48 edifici, presso i quali si mettevano in movimento 86 macchine industriali.

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Mancò acqua alle dodici fontane pubbliche della città, ai lavatoi pubblici e le tanto decantate Cascatelle rimasero a secco.

L`intervento immediato di Papa Leone XII consentì di riattivare le fontane e i mulini per la macinazione del grano, inoltre inviò per la popolazione pane, farina e tutto ciò che fosse necessario ai bisogni più urgenti.

La catastrofe fu tale che molti abitanti della zona danneggiata preferirono abbandonare le loro case e trasferirsi altrove.

Fu in questa circostanza che tutta la zona colpita, piazza Rivarola compresa, venne chiamata « delle rovine ››.

 

 

9 settembre 2014 |

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